Presentazione
di Giovanni Marchica
La poetica di Pino Bullara muove da lontano, affonda
le sue radici negli anni della sua formazione
universitaria e rappresenta, per così dire, la sintesi di un percorso pluridecennale
che lo ha visto impegnato nello studio e nell’approfondimento della condizione
dell’uomo e dei suoi rapporti con la società.
Già da giovane studente della facoltà di
lingue e letterature straniere a Catania, sul finire degli anni ‘60, gli
anni della cosiddetta contestazione giovanile, che richiamò nelle piazze
d’Italia e d’Europa milioni di giovani studenti e operai, egli subisce
il richiamo irresistibile di una cultura e di un’etica fortemente
connotate dall’esperienza del ‘68, mille miglia distanti dal
sistema di potere autoritario e accentratore passato indenne attraverso il
volgere delle generazioni: Fabrizio De Andrè, Lee Masters con il suo Spoon River, i poeti maledetti sono i
suoi primi maestri, gli autori dai quali egli attinge la materia per le sue creazioni.
Ma nemmeno altre forme di poesia apparentemente meno
impegnata, come quella d’amore di Prévert o quella
ludico-didascalica di Rodari, o ancora quella favolistica dei poeti più
rappresentativi del mondo classico e di quello moderno sono assenti dal
panorama artistico in cui si svolge l’attività creativa dell’autore.
Questo intenso fermento interiore, lungo otto lustri, culmina,
nel maggio del 2006, nella pubblicazione per i tipi della Casa Editrice Massimo
Lombardo di Agrigento della raccolta di liriche Nel vento (che lo stesso Bullara
definisce una «raccolta in versi di pace e di solidarietà
umana»), un pregevole volumetto nel quale la vita degli individui e
quella dei popoli e delle nazioni si intrecciano indissolubilmente, fino a
diventare un unico ordito sul quale il poeta sapientemente dispone la trama di
una riflessione in bilico tra la speculazione filosofica e la polemica
politico-sociale avente un valore quasi escatologico: quella dell’amore
universale e del reciso rifiuto di qualsivoglia forma di violenza e di guerra,
che ogni verso del libro, dal primo all’ultimo, a gran voce reclama.
Nonostante la diversità degli argomenti
trattati, c’è nell’opera un denominatore comune, un irrefrenabile
anelito alla libertà, all’uguaglianza, alla fraternità, che
ritroviamo immutato anche in Immiruti,
la cui pubblicazione segna una svolta decisiva nell’attività
poetico-letteraria di Pino Bullara, che adesso si dedica sistematicamente, complice
anche la sua pregressa preparazione linguistica, allo studio della lingua siciliana,
considerata nella imprescindibile simbiosi con la storia
e la tradizione, e dei suoi complessi rapporti con il lessico e la sintassi: i
proverbi, i modi di dire, le filastrocche, gli scongiuri, i canti popolari, che
costituiscono il nucleo ispiratore delle sue poesie, assumono qui la funzione
di rispecchiamento degli aspetti più rilevanti della civiltà isolana
e della cultura intesa in senso antropologico, cioè come «modus
vivendi» del popolo siciliano.
Nel lontano 1981
È significativo il
fatto che, a distanza di vent’anni, sia stata data attuazione ad un
provvedimento legislativo che - in un’epoca di diffusa
globalizzazione in tutti i settori
dell’attività umana, compreso quello linguistico-culturale, come
quella odierna - costituisce l’antidoto più efficace alla
scomparsa delle caratteristiche più interessanti della storia e della
tradizione locali, evitandone in tal modo la confluenza in una massificante e
anonima dimensione nazionale e internazionale.
Lungo questo solco ideale si muove
l’attività poetica di Bullara, nella consapevolezza che nello
studio della lingua e della cultura siciliane la cosa più importante sia
riuscire a cogliere l’essenzialità del fatto linguistico
così come lo concepisce il dettato della legislazione regionale, privilegiandone, cioè, gli stretti legami con la
storia e la tradizione.
In realtà l’autore si riallaccia al
più recente Progetto LIReS (lingue, identità, ricerca e sviluppo)
promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione - Ufficio Scolastico Regionale
per
L’uso della lingua siciliana - che per il nostro
poeta è essenzialmente quella a cui fanno capo le parlate della zona
centro-occidentale dell’isola, comprendente le province di Agrigento, Caltanissetta e la parte più meridionale
di quella di Palermo - fin qui limitato a poche, occasionali composizioni
(«Munnu ha statu e munnu è», «L’euru»), diventa
adesso lo strumento privilegiato attraverso cui egli si assume il non facile
compito di «diffondere la sicilianità nel mondo; non soltanto il
dialetto siciliano, ma soprattutto la cultura siciliana: la saggezza, la
filosofia, le tradizioni della nostra terra», analogamente a quanto
è avvenuto con poeti come Esopo, Fedro,
Il libro «è rivolto a tutti coloro che vogliono conoscere e approfondire la
sicilianità, quindi: emigranti, stranieri, intellettuali, studiosi e
amanti della cultura e delle tradizioni popolari, ma soprattutto … ai
nostri giovani, perché possano riscoprire le proprie radici ed
apprezzare la saggezza che viene dalla nostra tradizione». Le poesie in esso contenute rappresentano il pretesto per stigmatizzare
la debolezza e la vanità dell’animo umano, additando, al contempo,
al lettore la via che conduce alla realizzazione dei grandi valori ideali, che
sono i soli che rendono la vita degna di essere vissuta.
È il caso de «L’acqua, lu focu e l’anuri» (L’acqua,
il fuoco e l’onore), che si conclude con un monito a quanti pensano
che nell’eterna tenzone esistenziale tra l’«essere» e
l’«avere» sia inevitabilmente quest’ultimo ad avere il
sopravvento: «Sodu, sodu, allura, dissi l’Anuri:
/ ‘Tinitimi strittu, pi stari sicuri! / Picchì, a mia, si m’abbannunati, / di certu, cchiù nun mi
truvati’» (Tutto tranquillo,
allora, disse l’Onore: / ‘Tenetemi stretto, stretto, per favore! /
Perché, sappiate che se mi perderete, / di
certo, più non mi ritroverete’).
Ma all’orizzonte creativo di Bullara non sono
estranei altri importanti aspetti dell’esistenza: l’amarezza per la
fragilità della condizione umana unita alla cupa disperazione per il
lento ed inesorabile scorrere del tempo che tutto trascina con sé («…e
quannu addiventa ‘nzallanutu e malatu, / d’ognunu accumincia a essiri abbannunatu: / ora ni ‘sta casa, ora ni
chiddra campa... / finu a quannu Diu ‘un si l’arricampa»); l’illusoria
ricerca della felicità («‘A filicità ‘un sta ‘na
roba e ni vistita, / ma sulu ‘na tranquillità da propria vita. /
Lassa stari li pinzera tristi e li to peni, / ricordati:
‘u tempu si piglia comu veni’»); la rassegnazione
(«Po’ vinni ‘ddru pazzu du scarpareddru / e doppu ‘drru
tintu du zuppareddru. / Ah quannu si nni va ‘stu
malacunnutta, / di certu, n’aspetta ‘na sorti cchiu brutta!»);
l’adulazione e l’inganno («Quannu ti dicinu: ‘Beddru e
grazziusu’, / ascunta bonu ‘stu cunsigliu prizziusu: / penza
‘e to difetti, penzaci cu carma: / ‘Quannu ‘u diavulu
t’alliscia... voli l’arma’»).
E rivolgendosi ai giovani, ai quali affida il libro «perché
non facciano perdere le nostre tradizioni e gli insegnamenti dei nostri cari,
ma … [continuino] a farli vivere nei loro cuori oltre i confini del tempo»,
li esorta: «Cerchiamo, quanto meno, di essere
tolleranti, perché siamo tutti ‘immiruti’; prima di
criticare i difetti degli altri, riflettiamo su quelli nostri: ‘Cu di
ferru, cu di nuci, / ognunu porta la so cruci’» (Chi di ferro, chi di noce, / ognuno porta la
sua croce).
Infine, il testo è corredato da due utili
appendici: un «glossario», ordinato alfabeticamente, di termini
appartenenti al patrimonio linguistico dell’isola - che privilegia in particolar modo lemmi ormai caduti in disuso allo
scopo di «conservarne la memoria» - e una folta serie di «pagine
di filologia siciliana» dove l’autore, nella sua veste di linguista,
con competenza e accuratezza illustra passaggi fonetici e differenze locali,
regole grammaticali e schemi verbali (tempi relativi ai verbi ausiliari e a
quelli regolari e irregolari della prima e della seconda coniugazione), che
fanno di questa pubblicazione un prezioso strumento di lavoro, un indispensabile
vademecum per quanti, specialmente insegnanti e alunni, intendano analizzare
«dall’interno» la struttura della lingua siciliana e degli
aspetti più significativi che la caratterizzano.