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Egeo
«Nacqui a Megara, ove passai la mia giovinezza. Preso da coraggio, un giorno, feci una prodezza: con gli altri miei fratelli Pallante, Niso e Lico riconquistai l’Attica, il nostro regno antico.
Scacciammo gli usurpatori, eredi di Metione, insediandoci nel nome di nostro padre Pandione. Il regno, quindi, ci dividemmo con equità, ma io detenni scettro e corona nell’unità.
Né Meta né Calciope mi seppero dare un erede. A Delfi, l’oracolo, un responso stano mi diede. Conobbi poi Etra, la figlia di Pitteo, a Trezene, con lei generai Teseo, quindi ritornai ad Atene.
Prima del ritorno, sotto un grande masso celai sandali, scudo e spada e agli Dei mi affidai. Giunto ad Atene, preso da un’insana passione, sposai Medea, la perfida donna di Giasone.
Un dì, venne alla mia corte un giovane valente, Medea, allora, cercò di eliminarlo cinicamente: lo fece combattere contro il toro di Maratona, e poi mi convinse ad avvelenarlo di persona.
All’ultimo minuto, però, in un batter ciglio, riconobbi le mie armi e con esse mio figlio. Da sotto quel macigno dove le avevo celate, il giovane le prese, come dalla madre indicate.
Dichiarai Teseo come mio unico discendente. I nipoti Pallantidi si opposero apertamente; quindi, tramarono nell’ombra come furfanti, Teseo, però, li scopri e li sterminò tutti quanti.
Ma la colpa più grave che l’anima mi scosse, fu l’uccisione di Andrògeo, figlio di Minosse. Alle panatenee il giovane vinse tutte le gare, io, accecato dall’invidia, lo feci ammazzare.
Per quel fio, ogni anno a Creta dovevo inviare sette fanciulli e sette fanciulle da sacrificare. Lì, chiuso nel labirinto, il Minotauro viveva: il corpo era umano, ma il capo taurino aveva.
Teseo decise di risolvere il problema nostro, proponendosi di voler uccidere quel mostro. La vela nera il suo vascello aveva alzato, se avesse vinto quella bianca, avrebbe issato.
Notte e giorno, guardavo l’orizzonte marino. La vela nera, però, scorsi un tragico mattino. Disperato mi gettai in mare, annegando tra i flutti.» Da allora, quel mare Egeo sarà chiamato da tutti. (Pino Bullara)
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