L'accento

 

   Osservando la tastiera italiana d'un p.c., notiamo che, oltre alle lettere standard, ci sono cinque tasti con le vocali con l'accento grave e inoltre la "e" è presente, anche con l'accento acuto.

   Quindi, praticamente, questi sono gli accenti che usiamo in italiano.

   L'uso dell'accento circonflesso - per segnare la caduta d'una parte della parola o il valore di due "i"- è caduto in disuso.

  L'accento grave lo usiamo su quasi tutte le vocali da marcare; la "e" con l'accento acuto si usa solo su poche altre parole che vanno accentate (l'uso della "o" con accento acuto, di fatto, è più una disquisizione teorica che pratica); in particolare la "e" vuole l'accento grave nel verbo essere, ma l'accento acuto in "perché", "né" e "sé".

   C'è da dire, inoltre, che si ha la brutta abitudine, purtroppo consolidata, di non mettere nessun accento grafico nel corpo della parola, ma soltanto nelle parole tronche e in alcuni monosillabi.

   I monosillabi, di norma, non prendono l'accento grafico; tranne nei dittonghi con accento nella seconda vocale; es: "ciò", "giù", "più" ("qui" e "qua" si scrivono senza accento perché la "u" ha funzione servile, come l'"h" con "c" e "g"); altri, ancora, prendono l'accento per distinguersi dagli omonimi; es "dà" (verbo dare) "dì" (giorno); infine, ci sono dei troncamenti particolari che marcano con l'elisione (non con l'accento) la parte troncata; es: "po'" (poco), "de'" (dei), "fa'" (fai).

                                                                            Prof. Giuseppe Bullara

 



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